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Dazi USA. Per il Prof. Mele è il privilegio del dollaro
Economia

Dazi USA. Per il Prof. Mele è il privilegio del dollaro

Si sta discutendo molto della scelta del presidente USA Donald Trump di adottare politiche di restrizioni al commercio internazionale attraverso l’imposizione di dazi a diversi paesi e per ultima l’Europa al 25% per cercare di mitigare l’ormai perenne deficit commerciale degli Stati Uniti.

Ciò rappresenta un tema di dibattito acceso tra gli economisti alcuni dei quali preoccupati per la sua sostenibilità e le sue conseguenze sull’economia globale. Ma che cosa significa veramente avere un deficit commerciale elevato, e quale ruolo gioca in tutto ciò il dollaro statunitense, moneta principale dei mercati internazionali?

Il Prof. Marco Mele, amministratore unico della SFBM e economista tra i più citati al mondo ( Elsevier), offre una risposta connessa al privilegio e alle responsabilità che derivano dall’essere il detentore della valuta di riserva del mondo.

“Il deficit commerciale si verifica quando un paese importa più beni e/o servizi di quanti ne esporti, e per gli Stati Uniti, questo è diventato la norma. Sebbene tutto iniziò con la fine di Bretton Woods e la dichiarazione di Nixon del 1971, è negli anni ’90, con l’apertura dei mercati e l’ascesa della globalizzazione nonché della competitività internazionale, il momento in cui i deficit commerciali americani iniziarono a crescere costantemente.

Negli anni 2000 la situazione raggiunse il suo apice, superando il valore di 800 miliardi di dollari all’anno, un valore che si è guadagnò l’attenzione di economisti e politici, preoccupati per le conseguenze a lungo termine. Ma questa situazione rappresentò la certezza di un privilegio: avere il dollaro come valuta di riserva mondiale senza precedenti. Potenzialmente, infatti, gli Stati Uniti possono finanziare il loro deficit commerciale emettendo debito in dollari, una opportunità che nessun altro paese può vantare.

Ciò significa che gli investitori stranieri e le banche centrali di tutto il mondo acquistano obbligazioni statunitensi, in cambio di dollari, contribuendo a mantenere la stabilità della valuta. Questo flusso costante di capitale consente agli Stati Uniti di mantenere uno stile di vita che molti altri paesi non possono permettersi consumando ed importando molto. Tuttavia, questa posizione privilegiata non è priva di costi.

Un dollaro forte rende le esportazioni americane più costose sul mercato internazionale, impoverendo la competitività dei beni statunitensi e amplificando il deficit commerciale. D’altro canto, un dollaro debole potrebbe incentivare le esportazioni, ma aumenterebbe anche i costi per i consumatori americani, rendendo le importazioni più care.

Il deficit commerciale statunitense, inoltre, è anche profondamente interconnesso con il deficit di bilancio di cui ha parlato ultimamente Musk, un’altra faccia di quella che potremmo chiamare la sfida statunitense dei “deficit gemelli”. Quando il governo degli Stati Uniti spende più di quanto incassa non solo compromette la stabilità fiscale interna, ma aumenta anche la dipendenza dal capitale estero per finanziare questo debito.

In questo contesto vi è una crescente preoccupazione sulla possibilità che una minor fiducia sulla capacità di gestire il deficit da parte degli USA possa influenzare la stabilità del dollaro. In questa situazione la vera domanda da porsi è se avere il dollaro come valuta di riserva mondiale e’ realmente un beneficio. Io credo di sì perché offre vantaggi economici unici, anche se porta con sé responsabilità e rischi”.